Pubblicato il 26 luglio 2010, su un’importante quotidiano del Nord Est, la storia di un caso che ci aiuta a capire da dove partire per iniziare una seria terapia sul problema della contraffazione.

Il caso descrive con estrema linearità come un giovane grossista cinese regolarmente operante nella vicina Padova rifornisce mezza Venezia di ninnoli in vetro made in Cina che magicamente evolvono in made in Murano nelle vetrine di Venezia.

Conclude il cronista l’articolo con la domanda più temibile,  ma chi sono i suoi clienti più affezionati ?
Dipende dalla zona,  risponde Lui,  ma negli ultimi tempi lavoro di più con i commercianti più vecchi, quelli storici.
E’ immediato comprendere dal breve riassunto sopra esposto dell’articolo, che il primo lavoro da fare per un passo concreto non è nel capire dove mettere il tag rfid o quale tag rfid scegliere, ma …..
sensibilizzare il consumatore finale
che deve pretendere che il punto vendita sia in grado di dimostrare l’univocità del prodotto e la sua originalità, e che oltre al punto vendita, l’albergo dove il turista alloggia sia dotato di un RFID-point, in grado di fornire al consumatore tutte le informazioni su prodotto che ha acquistato.
Se questa esigenza/richiesta venisse accettata e fatta propria dai consorzi preposti alla tutela del prodotto e del consumatore penso che i sistemi RFID avrebbero un’evoluzione immediata ed una ripercussione positiva anche sull’indotto lavorativo locale con una serie di turisti molto più soddisfatti e predisposti serenamente ai nuovi acquisti.