Un dilemma tuttora irrisolto nel campo delle procedure di anticontraffazione è rappresentato da come devono essere presentati gli strumenti per combattere i falsi. Si distinguono sostanzialmente due classi di pensiero che sono illustrate di seguito.

Gli elementi di anticontraffazione (bollini adesivi, watermark, RFId) devono essere ben visibili ad occhio nudo.
Questa procedura, che mi vede personalmente favorevole, ha il grande vantaggio di dare immediatamente al cliente finale un riscontro sull’origine del prodotto. Ha lo svantaggio che, essendo visibili, i marchi vengono individuati anche dai contraffattori che cercheranno di imitarli e copiarli.
Per questa procedura si rende necessario usare strumenti tecnologicamente avanzati e una infrastruttura software dedicata al fine di rendere veramente unico ed inimitabile un semplice marchio: l’RFId diventa uno strumento fondamentale.

Gli elementi di anticontraffazione devono essere nascosti.
Ritengo che questo approccio sia piuttosto debole in quanto:
–          non vedere l’elemento di certificazione dell’autentico non permette al cliente di avere un riscontro immediato. Ispettori, piuttosto che organi di controllo, possono avere gli strumenti e le conoscenze per individuarlo ma il cliente finale non viene tutelato al momento dell’acquisto.
–          Nascondere l’elemento è sicuramente un deterrente alla copia: non vederlo significa non saperne l’esistenza e quindi non poterlo copiare. Sono però dell’idea che tali segreti hanno i giorni contati: la contraffazione è un business troppo importante e sopratutto fatto da persone molto intelligenti.
Il sistema “Bollino RFId visibile + Infrastruttura SW” diventa quindi lo strumento ideale e definitivo per garantire l’autenticità del prodotto.
Le caratteristiche tecniche del “bollino RFId” devono essere:
–          dimensione sufficientemente piccola per non essere troppo invasivo sul prodotto;
–          deve essere univoco e non copiabile: il numero seriale deve essere “inciso” all’interno della memoria del tag direttamente in fase di produzione dalla fabbrica
–          non deve avere particolari requisiti di distanza di lettura: l’applicazione non è infatti una procedura di logistica ma di garanzia.
Tre prodotti che riuniscono le caratteristiche citate sopra sono IN600, IN610 e IN220 di Lab ID srl, azienda con sede a Castel Maggiore (BO) che cura dal progetto alla realizzazione di inlay RFId passivi in Italia.

In figura: a sinistra IN220: Tag RFId HF ISO14443-B di dimensioni 14x14mm. A destra: IN600: Tag RFId HF ISO15693 con diametro di 14mm. IN610 è molto simile, giusto pochi millimetri maggiore in diametro (16) e risponde allo standard ISO14443-A.

Ci informa il sig. Giovanni Codegoni, sales manager di Lab ID: “I prodotti in questione sono molto versatili in virtù delle ridotte dimensioni e della loro caratteristica di avere alcuni bytes di serial number univoco”. “Rispondono ”, continua Codegoni, “rispettivamente agli standard ISO15693 (IN600), ISO14443-A (IN610) e ISO14443-B (IN220) a 13.56MHz e sono disponibili con diverse quantità di user memory. Le distanze di lettura sono ridotte ma i prodotti sono stati sviluppati essenzialmente per il problema della contraffazione, dove non sono richieste procedure di inventory di popolazioni numerose di tag”.