Quando si parla di transponder RFId si vuole generalmente intendere l’inlay, ovvero l’insieme di antenna e microchip, il tutto assicurato ad un supporto plastico (spesso trasparente) in PET.

Nel post successivo approfondiremo le modalità con cui vengono create le antenne metalliche; ora vogliamo descrivere i metodi con cui una “mattonella” di silicio, dal lato inferiore al millimetro, ovvero il chip, viene collegato all’antenna.

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Figura 1: dimensione di un chip RFId
Sulle normali PCB (i circuiti stampati) i microchip sono incapsulati in package, plastici o ceramici, dotati di un certo numero di piedini metallici saldati alle piazzole del circuito. In un inlay RFId i chip non sono incapsulati in alcun package ma sono forniti sottoforma di silicio con i pad (le piazzole metalliche) esposte. Il motivo per cui non viene fornito alcun package è ovviamente legato all’ingombro: la maggior parte dell’area ricoperta do un chip è relativa al package e alla distribuzione dei contatti mentre l’area effettiva di silicio è veramente decine di volte inferiore all’occupazione del package.
I pad di un RFId, le cui misure sono inferiori al millimetro per lato, non possono venir saldati all’antenna poiché quest’ultima si appoggia su di un supporto plastico che ne risulterebbe danneggiato. Vengono allora connessi secondo due interessanti tecniche:
1.      paste conduttive. Tra antenna e chip viene steso un sottile strato di materiale adesivo conduttore che incolla le due parti tra loro garantendo la conducibilità elettrica. Tale materiale prende il nome di ACP Adhesive Conductive Paste.
2.      microoscillazioni. Il chip viene posto a contatto con l’antenna e fatto vibrare ad una frequenza di circa 60KHz. Queste vibrazioni generano una temperatura superficiale in grado di saldare le due parti senza rovinare il substrato.
Nelle figure che seguono sono mostrate e commentate alcune fasi delle lavorazioni descritte.
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Figura 2: fase di collegamento del chip all’antenna.
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Figura 3: risultato del bonding usando la tecnica ACP